Il valore simbolico della banana, umile frutto tropicale, ha attraversato millenni, assumendo significati che spaziano dall’alimentazione primordiale all’arte contemporanea. L’apice di questa parabola è stato raggiunto con l’opera di Maurizio Cattelan, “Comedian”, una semplice banana fissata con del nastro adesivo su una parete, venduta per la cifra strabiliante di 6,2 milioni di dollari. Ma come siamo arrivati a questo punto? Per comprenderlo, bisogna tornare all’inizio dei tempi, a quando l’umanità muoveva i suoi primi passi.
Nell’immaginario comune, la banana evoca un’associazione immediata con le scimmie, i nostri lontani parenti evolutivi. Questo frutto, facile da sbucciare e mangiare, potrebbe essere stato uno dei primi alimenti che ha spinto i nostri antenati a sviluppare una rudimentale manualità. Sbucciare una banana richiede destrezza, e questa abilità manuale, così come l’uso degli arti per impugnare utensili, segna un momento fondamentale nella nostra evoluzione.
In una delle scene più iconiche del cinema, “2001: Odissea nello Spazio”, vediamo una scimmia impugnare un osso, usandolo come arma e strumento. Questo gesto rappresenta il punto di svolta in cui i nostri predecessori iniziarono a dominare l’ambiente.
La banana, pur non essendo un’arma, può essere vista come un preludio: un oggetto che richiede intenzione e azione per essere consumato. Un oggetto capace di accendere quella scintilla primordiale di manualità, curiosità e conoscenza che ha rappresentato il primo grande impulso per l’evoluzione della nostra specie.
Se allora la banana era semplicemente un alimento, oggi, con Cattelan, diventa un’opera d’arte. “Comedian” ribalta il suo significato: non è più un cibo, ma un simbolo della modernità e della riflessione sull’arte contemporanea. Con questa opera, Cattelan sembra dirci che tutto può essere arte, a patto che gli attribuiamo un significato.
Questo porta a una riflessione ironica: siamo partiti dall’alba dei tempi, in cui una banana era solo nutrimento, per arrivare a un’epoca in cui essa è diventata un veicolo per concetti, idee e provocazioni.
Eppure, oggi come allora, scimmie ai quattro angoli del mondo continuano a litigare per strapparsi dalle mani la banana migliore, la banana più ambita. Il motivo è sempre lo stesso, da sempre: ribadire al resto del branco il proprio potere, la propria forza.
E non c’è modo migliore per farlo che sganciare più di sei milioni di euro per una banana. Perchè è un po’ come dire: io posso, voi no. Una banana definitiva per un capobranco definitivo, in questo caso un ricchissimo imprenditore digitale affamato di status symbol e di potassio. Pare infatti che la preziosa opera d’arte verrà consumata dall’acquirente, forse per dimenticare il prima possibile di aver pagato così tanto per una banana mezza ammuffita.
Il confronto con la scena della scimmia di Kubrick appare inevitabile. In “2001: Odissea nello Spazio”, l’osso gettato in aria diventa simbolo dell’evoluzione umana, culminando nella tecnologia spaziale. Oggi, la banana di Cattelan potrebbe essere vista come una versione postmoderna di quello stesso simbolo: un gesto apparentemente banale che, inserito in un contesto artistico, diventa una riflessione sul valore attribuito agli oggetti.
Così, se l’osso era un mezzo per dominare il mondo fisico, la banana di Cattelan è un mezzo per dominare il mondo delle idee e della percezione. E così diventa anche un grande sberleffo a tutto quel ricco e patinato mondo di finti intellettuali e collezionisti che gravita attorno all’arte. Perchè Cattelan sapeva benissimo che quella attaccata al muro col nastro adesivo è solo una banana come tutte le altre.
Ma quando viene rivenduta per vagonate di dollari agli uomini più ricchi del pianeta – o alle scimmie più forti della foresta – diventa una meravigliosa vendetta: contro il potere, contro l’esibizionismo, contro quella ricchezza così sfacciata e arrogante. Un modo per dire: siete partiti sbucciando una banana, siete ancora lì a sbucciare una banana. Ma questa volta la pagate sei milioni di euro.
Non facevate prima a restare sugli alberi?
Non facevate prima a restare sugli alberi?
di Sergio Tracchi e Ruggero Veronese