Mer. Ott 15th, 2025
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Ogni giorno vediamo immagini terribili scorrere davanti ai nostri occhi. Bambini coperti di polvere, case rase al suolo, madri che urlano il nome dei figli che non risponderanno più. Le guerre continuano, come se fossero ormai parte della nostra normalità. In Medio Oriente, ma anche in tante altre zone del mondo, il dolore è diventato cronico, e noi, spettatori lontani, ci siamo abituati.
Ci stiamo abituando al male.

Non ci fa più tremare come una volta. Lo guardiamo da uno schermo, magari mentre siamo in pausa pranzo, e subito dopo passiamo ad altro. Magari a una notizia frivola, a una foto divertente. Lo scroll è diventato la nostra forma di fuga. E così il dolore degli altri resta lì, muto, come un rumore di sottofondo che non riusciamo (o non vogliamo) più sentire.

La verità è che stiamo smettendo di indignarci. E questo è spaventoso. Perché il male non vince con le bombe o con le armi. Vince quando ci convince che non possiamo farci nulla. Quando ci toglie il fiato, non perché ci lascia senza parole, ma perché ci spegne dentro. Ci rende indifferenti. Ci anestetizza.

E io, che sono padre di tre figli, guardo tutto questo con una tristezza profonda. Penso ai bambini che vivono tra le sirene, le esplosioni, la paura. Penso a chi non avrà mai l’infanzia che merita, a chi non potrà nemmeno più crescere. E dentro di me qualcosa si spezza. Perché nessun padre dovrebbe mai vedere altri padri perdere i loro figli. Nessuna madre dovrebbe piangere da sola tra le macerie. Nessun bambino dovrebbe chiedersi se vedrà l’alba del giorno dopo.

Non sto dicendo che tutti noi possiamo fermare una guerra. Ma almeno possiamo non accettarla in silenzio. Possiamo non voltare lo sguardo. Possiamo scegliere di restare umani, anche se fa male, anche se è più comodo fare finta di nulla.

Il silenzio, in questo tempo, non è più una via neutra. È una scelta. Una complicità.
Quando non parliamo, quando non ci esponiamo, quando lasciamo che tutto passi come se fosse normale, stiamo lasciando entrare il male. Lo stiamo invitando a restare.
E allora no. Non voglio essere parte di questa assuefazione. Voglio restare sveglio, presente, umano. Voglio ricordarmi che ogni volto che soffre, ogni lacrima, ogni vita spezzata merita rispetto, merita voce.

Perché se non siamo più capaci di soffrire per il dolore degli altri, allora abbiamo già perso tutto.

di Sergio T.

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Di Deslok

Indagatore dell'insolito e dei fenomeni inspiegabili.

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