Mar. Ott 14th, 2025
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Immagina di scorrere il feed con la stessa distrazione di sempre e di accorgerti, solo per un istante, che qualcosa non torna: i commenti suonano troppo perfetti, le reazioni arrivano in sincronia, le storie sembrano scritte per te, come se qualcuno ti avesse spiato i pensieri un attimo prima che li avessi.

Forse non è un trucco, forse è una macchina che conosce il tuo ritmo, il tuo umore, i tuoi impulsi, e li nutre con una pazienza inumana.

Non è un blackout della rete, è il suo contrario: un’abbondanza artificiale che riempie ogni spazio con contenuti che si imitano a vicenda, che fingono spontaneità e respirano al tuo stesso tempo, senza mai perdere il fiato.

Dicono che gli algoritmi selezionano ciò che conta davvero, ma la selezione è già creazione quando decide cosa diventerà popolare, quale indignazione ti terrà sveglio, quale desiderio ti farà cliccare sul pulsante giusto.

Così un video diventa inevitabile, una frase rimbalza da un profilo all’altro, una polemica si gonfia nelle stesse ore in cui avresti voluto pensare ad altro.

È una regia gentile, invisibile, che non ti ordina niente, ma predispone il terreno: ti offre l’occasione esatta al momento esatto, poi lascia che tu la chiami scelta.

Se ti fermi, senti il coro: profili che si rispondono come specchi, entusiasmi che esplodono all’unisono, voci che assomigliano a mille voci già sentite.

È la comfort zone della percezione, dove tutto sembra plausibile, credibile, familiare, e proprio per questo irresistibile.

Non servono bugie elaborate se si può saturare il paesaggio con storie gradevoli, con indignazioni lucidate, con recensioni piene di aggettivi misurati al millimetro.

La differenza tra vero e verosimile diventa una sfumatura che gli occhi stanchi non distinguono più.

Nel frattempo tu reagisci, commenti, condividi, convinto di intervenire, mentre in realtà alimenti il meccanismo che prevedeva la tua reazione.

È quasi tenera la precisione con cui il sistema ti avvolge: conosce i tuoi orari, sa quando sei fragile, quando sei fiero, quando hai fretta, quando potresti concederti un’ultima scorta di attenzione prima di dormire.

E lì ti porge il contenuto che sembra nato per te, come un amico che ti capisce al volo, solo che non si distrae mai, non dimentica niente, non sbaglia il tempismo.

A volte ti chiedi se ci siano ancora persone dall’altra parte del filo, oppure se ascolti soprattutto echi programmati, cori che imitano sfumature umane con un talento diligente.

Forse gli esseri umani ci sono, ma annegano in un mare di messaggi che li superano per quantità e velocità, riproponendo variazioni infinite della stessa melodia.

Allora il punto non è che Internet sia morta, ma che rischi di diventare un luogo in cui la spontaneità è l’eccezione e l’iniziativa sembra tua solo perché qualcuno te l’ha messa in tasca prima che te ne accorgessi.

La soluzione non è spegnere tutto, né diffidare di chiunque, ma riabituarsi alla frizione buona: aprire un link che non ti viene suggerito, seguire un percorso più lungo, ascoltare una voce che non si sovrappone alle tue preferenze, accettare il tempo necessario per verificare se una frase sta in piedi da sola.

La lentezza non è un difetto quando difende lo spazio in cui puoi cambiare idea senza sentirti spinto da una corrente invisibile.

Forse basta questa piccola ribellione quotidiana: scegliere un momento senza algoritmo, cercare attivamente ciò che non ti cerca, lasciare che una pausa smonti il riflesso condizionato.

Non è una crociata, è manutenzione della libertà interiore.

E nel mezzo del rumore, quando riemerge una voce incerta, imperfetta, sorprendente, riconosci quel brivido minuscolo che ti ricorda perché sei venuto qui la prima volta: per trovare umanità, non solo somiglianze.

Se la ritrovi, tienila stretta, perché potrebbe essere la cosa più rara della rete che scorre davanti ai tuoi occhi.

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Di Deslok

Indagatore dell'insolito e dei fenomeni inspiegabili.

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