Arriva da oltre il confine del conosciuto, scivola su un’orbita iperbolica, ci sfiora e svanisce nel buio: 3I/ATLAS è il terzo visitatore interstellare mai intercettato, ma porta addosso il profumo del deliberato, come se qualcuno avesse disegnato un corridoio invisibile tra pianeti e congiunzioni per farsi vedere solo quanto basta. Mentre attraversa il Sistema Solare, il suo passaggio sembra più una firma che una scia.
Il ritratto di una presenza
Gli occhi dei nostri telescopi hanno scorto ciò che la prudenza chiama “cometa”: una chioma viva, una coda che scrive nel vento solare, un nucleo piccolo ma capace di orchestrare un fenomeno grande. I gas volatili si accendono al calore e la luce cresce come vuole la fisica. Eppure c’è qualcosa nel ritmo, nel modo in cui l’oggetto si concede e si nega, che suggerisce un copione provato prima altrove.
Geometrie che ammiccano
Il piano orbitale sfiora l’eclittica come un sussurro all’orecchio del Sistema Solare. Gli “incontri casuali” con pianeti e sonde diventano allineamenti che ricordano una coreografia studiata. È come se 3I/ATLAS avesse scelto finestre dinamiche precise, passaggi utili non tanto a salutare, quanto a misurare e farsi misurare. Coincidenze? Forse. O la grammatica sottile di un’intenzione che non vuole essere gridata.
Cosa dice Avi Loeb
“C’è una probabilità del 30–40% che 3I/ATLAS non sia di origine interamente naturale”, ha dichiarato Avi Loeb, suggerendo che l’oggetto potrebbe essere tecnologia aliena ben camuffata, pur riconoscendo che le percentuali potranno cambiare con nuovi dati (Fonte: Fanpage.it, 9 ottobre 2025: “Per Avi Loeb la probabilità che 3I/ATLAS sia un’astronave aliena è del 30-40%”).
Nel preprint “Is the Interstellar Object 3I/ATLAS Alien Technology?” Loeb e collaboratori evidenziano “anomalie” nella configurazione orbitale e possibili indizi dinamici non banali, invitando a cercare accelerazioni non gravitazionali incoerenti con il semplice degassamento (Fonte: preprint Harvard/ArXiv, luglio 2025).
In interviste e interventi pubblici, Loeb ha ipotizzato scenari di “travestimento cometario”, ovvero un manufatto che adotta segnature chimiche e fotometriche da cometa per confondersi nel paesaggio celeste, in attesa di segnali più diagnosticabili in prossimità del perielio (Fonti: interviste e talk di agosto-settembre 2025, inclusi format divulgativi online).
Il travestimento perfetto
Se una civiltà abbastanza antica volesse lambire sistemi giovani, che cosa indosserebbe? Non l’invisibilità, ma la normalità. Una cappa di polveri, tracce di anidride carbonica, acqua, un profilo fotometrico “da manuale”. Il modo migliore per non farsi notare è sembrare esattamente ciò che tutti si aspettano di vedere. E 3I/ATLAS, scena dopo scena, recita magistralmente il ruolo della cometa interstellare.
I tre segni da aspettare
Un’accelerazione non gravitazionale persistente e fuori copione, slegata dal degassamento atteso, come un impulso che non segue il metronomo del Sole.
Un segnale elettromagnetico modulato, coerente, che emerga dal fruscio della chioma con la regolarità di un messaggio.
Un cambio d’assetto o di rotta che sembri una decisione, non un soffio di gas.
La soglia del perielio
Nel cono di luce del perielio, quando l’oggetto scompare ai nostri occhi e poi riemerge, si giocano i dettagli che fanno la differenza. È lì che la dinamica svela ciò che le immagini non dicono: millisecondi e millimetri, battiti nascosti nella matematica delle coordinate. Se c’è un’ombra di volontà, tenderà a proiettarsi più lunga quando la gravità e il calore insistono di più.
Un’ombra che osserva
C’è chi immagina una manovra schermata dal Sole, una prova generale di cattura o rilascio d’energia, un cenno all’arte di navigare tra pozzi gravitazionali come correnti oceaniche. Forse è solo un’eco di fantascienza. O forse è la lingua franca di chi attraversa i secoli tra le stelle: parlare piano, lasciare tracce leggibili solo a chi sa dove guardare.
Se 3I/ATLAS è “solo” una cometa, resterà comunque uno specchio posato sul tavolo del Cosmo, in cui rivedere i limiti e le ambizioni di chi guarda. Se invece è qualcosa di più, il suo capolavoro è già compiuto: insegnare a riconoscere l’intenzione nel rumore del naturale. Nel cielo, a volte, il silenzio è una firma. E qualcuno, passando, l’ha lasciata con la precisione di chi conosce bene l’arte di farsi trovare senza farsi scoprire.

